«Lo spettacolo ritrae a linee perfette una guerra: una battaglia senza armi, senza soldati. È un conflitto eterno con se stessi, contro i propri sogni, contro i finti valori mediatici. Attraverso particolari racconti un po’ folli tre uomini percorrono i sentieri bellici delle proprie anime.»
Daniela Abbruzzese | Teatro.org
«Anamorfico […] è l’intento qui dispiegato con maestria sotto ogni aspetto drammaturgico e compositivo; proprio per far capire che – anche chi si illude d’esser fuori dal sistema – in realtà è ancora suo schiavo, ostaggio volontario dell’insufficienza generale.»
Manuela Musella | Inside the Fringe
«Giovani. Bravi attori. Teste in fermento. Funzionano […] perché toccano e approfondiscono temi sociali scottanti non tralasciandone mai il lato ironico […]»
Antonella Vercesi | Niù Odeon
RASSEGNA STAMPA
Antonella Vercesi | Niù Odeon | 20 sett. 2011
Lavoro di squadra di Esiba Teatro con Anamorfosis a Cascina Novarenzo
Si chiamano Esiba Teatro e sentirete parlare di loro. Angelo Abela, Marco Pisano ed Eugenio Vaccaro. Giovani. Bravi attori. Teste in fermento. Funzionano non solo perché toccano e approfondiscono temi sociali scottanti non tralasciandone mai il lato ironico, ma anche grazie alla compagnia di amici- collaboratori che non li lasciano mai soli.
In questa intervista parla principalmente Eugenio che sottolinea la presenza costante del suo gruppo … Milena, Tommaso, Aurora, Sebastiano, Salvatore, Gabriele, senza i quali i loro lavori non riuscirebbero a diventare così interessanti; e poi sfiora un rapimento, i trentenni, un personaggio impotente e la metamorfosi mancataOspiti in un nuovo e imponente contesto residenziale, a Cascina Novarenzo in provincia di Pavia, una casa nel bosco, loro, che sono siciliani, hanno riempito lo “spazio teatro” con un intensa affluenza di pubblico, nonostante il tempo.
– Quando vi siete formati?
A 12 anni ci siamo conosciuti in un corso di teatro. Dopo anni è nato il nostro primo spettacolo “Il circo dell’eccesso”. Il secondo lavoro invece che ci ha visti coinvolti è “Terra di rapina” tratto dal romanzo edito da Sellerio scritto da Giuliana Saladino. L’opera parla di Giovanni Di Maria, un uomo originario di Cianciana, provincia di Agrigento, che non vuole partecipare alle lotte contadine. Diventa fuorilegge, compie delle rapine. Partecipa al rapimento durato 55 giorni del barone Agnello. Finisce in carcere. Noi l’abbiamo incontrato, oggi, è un contadino anziano che coltiva la sua terra. Analizzando le parole del libro e indagando la sua storia singolare ne è uscita una figura complessa più che di un criminale di un vittima; un uomo e la sua impossibilità di fare una scelta. Pensa, ci ha raccontato che il barone dopo il mese scarso di prigionia è ingrassato 5 kg…
– Terra di rapina si evolve in Cianciana?
Si, il primo era caratterizzato da molte didascalie e immagini come la terra, l’acqua, e il fuoco. Stilizzato diventa Cianciana.
– Anamorfosis, l’ultimo lavoro, possiede una completezza drammaturgica interessante. Come vi approcciate al riguardo?
Tommaso di Dio fornisce sempre suggestioni di testi che possiedono un linguaggio diverso dal teatro perché lui proviene dalla poesia, questo contamina l’esperienza. Gli input sono rielaborati da noi attori, vengono piegati alle nostre esigenze. Questi stimoli rappresentano anche una traccia che Milena, nello specifico, utilizza per sceneggiare lo spettacolo.
Ci fidiamo l’uno dell’altro non abbiamo la pretesa di pensare che una nostra idea debba forzatamente essere inclusa nel progetto ci basta sapere che esiste come sottotesto .Le separazioni di ruoli non fanno per noi, si decide insieme in modo fluido.
– Anamorfosis, presentato in forma completa qui a Cascina Novarenzo, di cosa tratta …
Ogni nostra creatura è preceduta da un taglio ideologico, una nostra visione; pensiamo prima a cosa volgiamo dire per necessità. Anamorfosis fotografa l’attesa in cui viviamo e a cui noi trentenni siamo costretti. L’inadeguatezza morale che non trova un azione, quello è il tema dominante. In scena tre persone che non riescono a cambiare, a trovare una forma, non subiscono una metamorfosi.
– A proposito dei personaggi. Angelo è su una sedia a rotelle, tu hai gli occhi infervorati e Marco ci guarda dietro occhiali da nerd, illuminato dai riflettori …
Rispetto alle altre compagnie della scena contemporanea, noi teniamo molto all’uso della parola, che sia essenziale, certo, e moderna, esattamente come al lavoro sul personaggio . In Anamorfosis presentiamo gli stereotipi della società, nella parabola del divenire cadono le maschere e negli “a parte” i nostri alter ego diventano veri. In solitudine i personaggi fanno i conti con loro stessi, mentre sotto i riflettori sopra le righe e allucinati.
Citando una frase del testo “ … cioè meglio Carla Bruni senza reggiseno che le bracciotte di Michelle
Obama, non so se mi spiego …”
A cura di Antonella Vercesi.
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Daniela abruzzese | 24/6/2010 | Special Fringe – Anamorfosis
Napoli Teatro Festival Italia 2010 – News |
La giovane compagnia sicula Esiba Teatro va in scena con lo spettacolo Anamarfosis nella suggestiva Chiesa della Pietrasanta, esattamente nel cuore di Napoli. Un gruppo giovane, che dal 2004 ad oggi vanta nel territorio siciliano ed oltre, molti spettacoli interessanti e di successo. L’entusiasmo e la freschezza della compagnia, conferisce alle sue opere il merito dell’originalità, grazie alla scelta di temi quasi sempre attuali e sociali.
Ma le importanti collaborazioni che hanno segnato la crescita di Esiba non hanno fermato la curiosità di scoprire e sperimentare: «Pensiamo – quotidianamente – di aver fatto la metà di quello che avremmo potuto ed un terzo di quello che avremmo dovuto, e questo ci spinge a continuare in questo tentativo». Con questa spinta nasce l’ultima rappresentazione.
Lo spettacolo ritrae a linee perfette una guerra: una battaglia senza armi, senza soldati. È un conflitto eterno con se stessi, contro i propri sogni, contro i finti valori mediatici. Attraverso particolari racconti un po’ folli tre uomini percorrono i sentieri bellici delle proprie anime. Anime a cui è stato sottratto il senso della vita. Nessuna ambientazione chiara, nessuna vicenda definita: scene distaccate e distanti tra loro che regnano sul palco, che senza nessun apparente filo conduttore raccontano una storia vera.
Rammarico e nostalgia, ambizione e smania di emergere, frustrazione e finta inflessibilità, rispecchiano i caratteri e le storie dei tre uomini in scena, tre vite parallele senza apparenti punti d’incontro, ma che in realtà finiscono inevitabilmente per intrecciarsi. L’eco che proviene dalle alte mura della Chiesa conferisce alle voci degli attori energia, ogni battuta ha il suono di un rintocco che rimbombando nell’ambiente si veste di una forte carica emotiva.
Il palco è povero di scenografia, sono gli oggetti che fanno la scena: il gioco di luci è degno protagonista e le musiche di sottofondo sono sempre indovinate, i testi sono sarcastici ma allo stesso tempo poetici. Il buon lavoro del “dietro le quinte” è coronato da Angelo Abela, Marco Pisano, Eugenio Vaccaro, i protagonisti del palco: riescono a tenere la scena e non sbagliano nulla; dai loro occhi emerge la passione con cui danno voce a tutte le personalità racchiuse in ogni singolo protagonista. Il modo in cui apre e si chiude lo spettacolo è originale: commemora in breve l’Eden del mondo che sviluppandosi si tramuta in Inferno.
Fonte: Daniela Abbruzzese
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Manuela Musella | venerdì 25 giugno 2010
Anamorfosis
“Uno e trino” è lo spettacolo della compagnia Esiba Arte alla Chiesa della Pietrasanta. Personaggi, così battezzati: “Uno. Diverso. Dall’altro”. Ma piuttosto che a “Padre, Figlio e Spirito Santo”, penso alla Trimurti indiana che incarna le forme dei tre importanti deva archetipi: Creatore, Conservatore e Distruttore. In effetti, le forme nuove che i bravissimi Angelo Abela, Marco Pisano ed Eugenio Vaccaro ci propongono, armonizzando rispettivi ruoli e partiture, posseggono proprio i connotati psicosomatici di queste iconiche personalità. Ci danno il benvenuto da un siparietto nero, (sorta di scena en abyme realizzata con l’ausilio di un rudimentale teatrino per marionette), un serpente-calzino ed un orsetto-pupazzo che sembrano rievocare, con la loro sarcastica animazione, un passato di eventi legati al tempo in cui – da bimbi ancora ignari di tutto – già ci sottraevano all’innocenza d’una percezione pura, le immagini e le notizie trasmesse dalla TV. Del terrorismo mediatico che oggi più che mai siamo costretti a subire, si fa ampia denuncia e salutare critica nel corso della rappresentazione, che raggiunge nelle tre performance un esemplare grado di simbolizzazione degli effetti nefasti imputabili al dominio dei programmi televisivi. Oltre alla parodizzazione di Passaparola e ad una gigantografia di Gerry Scotti, (quasi un totem della sovrana e collettiva alienazione), dietro la quale “forse c’è il superpremio!”, un figlio di papà convinto di arrivare molto in alto, affetto da un’insanabile ipertrofia dell’ego, siede su troni che in realtà sono sedie a rotelle: altrettante forme dell’essere e dello stare al mondo, metafore d’una paralisi psicologica ed esistenziale che porterà al delirio da eliminazione perché – letteralmente – se non vinci non vai da nessuna parte. La metamorfosi non è facile nemmeno per chi, con un briciolo di lucidità, si sente vittima della propria impotenza o incapacità di reagire, e non riesce a tradurre la rassegnazione in azione responsabile, viva, autentica. Resta piuttosto ancorato a un immobilismo disperato, funzionale al processo di assuefazione a quei nomi e volti noti che una fruizione passiva trasformerà in abominevole, ossessionante passione. Ed ecco dunque riapparire la figura del leader psicotico, maniaco e violento, (un ibrido tra i protagonisti di “Apocalipse Now”, “Arancia Meccanica”, “Blade Runner”), che all’inizio ci minacciava con un martello e perentorio, sublime, ci domandava: “Chi sei? Cosa ti aspetti dalla vita? Credi che questo sia un gioco?”. Lui è l’uomo delle regole ferree: disciplina, serietà, puntualità, umiltà e metodo. Soprattutto metodo. E una mazza da baseball con la quale colpire e ferire. Proprio lui, che si chiede che fine abbiano fatto i sogni di tutti, e che si è visto portar via i propri, è pronto a sparare e dire di no a tutto. La risposta esatta ai quesiti della vita, tanto quanto ai quiz di un concorso a premi, solo può concretizzarsi nello stare zitto e nel vincere la propria “parte d’inferno quotidiano”. Anamorfico, come l’effetto prospettico utilizzato in arte per costringere lo spettatore ad un predeterminato o privilegiato punto di vista, è l’intento qui dispiegato con maestria sotto ogni aspetto drammaturgico e compositivo; proprio per far capire che -anche chi si illude d’esser fuori dal sistema- in realtà è ancora suo schiavo, ostaggio volontario dell’insufficienza generale. Il dolore privato d’ognuno non basta più a giustificare l’imperante processo di degenerazione mentale e morale che si traduce nelle attuali condotte patologiche, che muta la dignità della Persona in squallida caricatura o marginale, avvilita comparsa. Urge perciò un radicale cambiamento dei linguaggi ed una rigenerazione dell’Immaginario che ci salvi tutti, dentro e fuori Scena. Con sguardo serio, siamo ammoniti da un presago ricordo, che solo può riconoscere -al di qua del limen teatrale- contenuti di verità ed una sana volontà di potenza: “Noi abbiamo finito. Potete andare. Fuori. Ma sappiate che fuori c’è una linea. E dietro quella linea non c’è niente”. Condividendo e auspicando, dopo i molti e meritati applausi, un’accorata tensione rivoluzionaria.
Manuela Musella