Recensione di 248 KG si Dramma.it

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Diario napoletano

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Scritto da Emanuela Ferrauto
Il nostro Napoli Teatro Festival Italia 2013 comincia con l’ E45  Napoli Fringe Festival. Contraddizioni a parte, è proprio così. Il Festival parallelo di cui abbiamo già parlato nell’ articolo di presentazione al NTF 2013,  presenta un ampio programma in cui compagnie emergenti e non, giovani attori, idee innovative, tematiche contemporanee

e tanto altro, incuriosiscono il pubblico. Molti spettatori bisbigliano la propensione per gli spettacoli  “paralleli”. E  la nostra curiosità nasce sin dalla prima pubblicazione del cartellone “fringe”, che tanto parallelo e marginale non dovrebbe essere.  Tra teatro danza, opere inedite, adattamenti di classici, innovazione, analisi della società, caratterizzazione clownesca e circense, con un tocco di Pinocchio e Lucignolo, il primo approccio con questo festival dai mille volti, dalle grandi problematiche, dalle grandi attese e grandi delusioni, lo abbiamo attraverso García Lorca. Ma non temete. Leggerete anche di  Peter Brook, Andrej Končalovskij  e tanti altri.

248 KG

Li scorgiamo per caso nella sala di un altro teatro, qualche giorno prima del loro debutto a Napoli.  Spettatori o attori? I loro pass appesi al collo ci “informano” che il loro ruolo non è quello di semplice spettatore. Ascolto l’accento: famigliare. Siciliani di certo. Rispondo ad una battuta. Chiedo la provenienza. Due chiacchere. Eppure i volti di questi ragazzi non sono nuovi, almeno per la mia memoria confusionaria. Forse ci siamo conosciuti in Sicilia ai tempi dell’università? Eh no! Mistero svelato. Torna a Napoli la Compagnia Esiba Teatro, originaria di Siracusa, il 10 e l’11 giugno in scena al Ridotto del Mercadante con 248KG.  Parliamo ancora di E45  FRINGE FESTIVAL e gli attori di questo spettacolo concludono nel 2013 la lunga “Trilogia del Fallimento”, iniziata nel 2008 con lo spettacolo CIANCIANA e continuata nel 2010 con ANAMORFOSIS.  Li avevamo conosciuti durante il NTFI 2010, sempre all’interno del programma E45 Fringe Festival, proprio con ANAMORFOSIS; ci erano piaciuti e soprattutto ci avevano colpito per le scelte sfrontate, per l’accento palesemente evidenziato, per la sottile, drammatica, ironica e profonda analisi della società e dell’umanità contemporanee. La trilogia si conclude con 248 KG, cioè la somma del peso dei tre giovani e bravi attori: Angelo Abela, nei panni del protagonista Benno, Marco Pisano nei panni di una bambina, Eugenio Vaccaro nei panni del nonno di Benno. La regia viene affidata a Sebastiano Di Guardo, ma è la drammaturgia a colpirci ancora di più, quella di Tommaso Di Dio. Siete mai entrati in un teatro, invitati ad essere pesati su una bilancia? Potrebbe capitare anche questo. Osservare le reazioni delle persone e quelle personali diventa un accurato studio sulla mentalità contemporanea. Proprio perché ci troviamo improvvisamente davanti a qualcosa di inusuale e inimmaginabile ( anche se a teatro tutto è possibile!), notare la  sfrontatezza o l’imbarazzo dei singoli spettatori ci apre gli occhi su quello che vedremo durante la messinscena. Non pensate si tratti della solita solfa sull’obesità: il peso a cui si riferisce lo spettacolo è quello della vergona, della solitudine, dell’ignoranza. Il peso del giudizio della società su ognuno di noi. È inutile fingere: chiunque avrà provato vergogna da bambino a scuola, chiunque sarà stato schernito e preso in giro dai compagni. Chi più, chi meno, siamo tutti come Benno. Il nome del protagonista è liberamente ispirato al lavoro di Albert Innaurato “ La trasfigurazione di Benno il ciccione”; poi, come ci rivela la compagnia, rimane perché si è instillato nelle orecchie degli attori. Insomma, a Benno ci si affeziona subito. L’ironia che pervade i lavori di questa compagnia riesce a salire a livelli così alti, da eliminare completamente il riso. Benno è un bambino ciccione che “vive” in scena insieme a due personaggi: una bambina e il nonno. Gli antipodi della purezza e della sporcizia mentale e sessuale pongono al centro il cardine “Benno”: capro espiatorio, vittima sacrificale sull’altare della società moderna. L’immagine del bambino si evolve fino a deformarsi, a diventare paradossale, inquietante, lugubre, stomachevole. Non per effetto delle sue azioni, ma per ciò che  avviene attorno a lui. Ancora una volta il protagonista mantiene un accento siciliano volutamente marcato, mentre la lingua utilizzata dai due bambini è deformata ed elementare. Il dialogo infantile si colora di immaginazione e fantasia, in un’ingenuità ridicola e speranzosa. La formula magica serve a far esaudire desideri macabri: la mamma morta, i compagni morti, il nonno morto, la cavallina, simbolo di derisione scolastica, esplosa. Ma la realtà è ben diversa. E allora anche l’unica “donna” che Benno potrebbe avere accanto, viene sporcata dagli sguardi incessanti del nonno. La comicità dello spettacolo esplode, a tratti, inattesa: è ovvio che il pubblico rida quando vede in scena un attore che interpreta una bambina o un ragazzo  nei panni di un nonno maniaco. Ma le risate si affievoliscono nel corso dello spettacolo perché l’amaro di questa storia aleggia pesante nell’aria. E mentre in alto un timer scandisce la routine ossessiva delle giornate di Benno, la vittima sacrificale viene costretta ancora ad ingurgitare: un sacco, vetri rotti, schegge di dolore che si nascondono nello stomaco e nel grasso.  Noi spettatori, quella sera, pesavamo in tutto circa 3000 Kg, così come ci è stato comunicato a fine spettacolo Quanti di questi pesano sull’animo?

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